Thursday 11 November 2010

Vieni via con me - Cultura

Finalmente ho visto un po' di spezzoni della trasmissione "Vieni via con me" (come sapete non ho la tv, viva il Web2.0, ecc. ecc.); molti gli spunti emozionanti e interessanti. Qui segnalo solo quello relativo alla cultura. E continuo a ripetere che il problema in Italia non sono i baroni, o i concorsi universitari truccati, o ecc. ecc.; il problema *è* la mancanza di risorse. E di cultura.

S.

10 comments:

luca said...

Eliminiamo un po' di persone che fanno poco o nulla, eliminiamo i personaggi che sono anni che non fanno ricerca e insegnano poco, smettiamo di dare stipendi a persone che fanno altro e ridistribuiamo queste risorse tra quelli che realmente si impegnano. Sarebbe già un primo passo. Io lo dico sempre: prima di piangere miseria dovremmo fare un bell'esame di coscienza. L'università di oggi è come Califano: per anni ha speso e spanto senza criterio e adesso protesta per la mancanza di soldi.

S. said...

S'è magnato più Califano da solo che tutta l'università italiana messa insieme.

Ripeto quello che dico sempre: voglio i numeri. Qual è la percentuale di nullafacenti? Quanto è stato sprecato? Quanto si spreca? Quanto si può risparmiare eliminando gli sprechi?

Ognuno può avere le sue opinioni, ci mancherebbe. E per le sue opinioni uno si può basare su quello che vede nel suo piccolo o sui numeri. Io quello che vedo nel mio piccolo è che i miei colleghi stranieri hanno molti più fondi e le stesse rogne sui malcostumi accademici. Altri magari la pensano diversamente.

Ma se si guardano i numeri, a me i numeri paiono chiarissimi. Le università spendono il 90% dell'FFO per gli stipendi. Qualcos'altro se ne va per spese di funzionamento (riscaldamento, telefono, luce, ecc.) Gli stipendi sono fissati per legge; le spese di funzionamento sono ineliminabili. Lo spreco può quindi riguardare al massimo il 10% scarso, probabilmente qualcosa intorno al 5%. Considerando che poi riceviamo finanziamenti che ben che vada sono la metà delle medie europee, noi italiani possiamo sprecare al massimo il 2.5% di quello che può sprecare un nostro collega straniero.

Considerando anche che la ricerca per definizione comporta sprechi, a me non pare che ridurre quel 2.5% di sprechi ipotetici sia un primo passo significativo.

S.

Anonymous said...

Come classe docente avete avuto dalla vostra quasi tutti i ministri dell'economia della Seconda Repubblica (Amato, Ciampi, Tremonti e Padua Schioppa solo per citarne alcuni), indipendentemente dal loro collocamento politico.

Ci sono circa 60 docenti universitari in parlamento, almeno 5 fra i ministri attuali e dei precedenti governi.

La classe politica dei docenti universitari è seconda solo a quella degli avvocati.

Udine è governata da docenti universitari da 15 anni, la provincia lo è stata per 10...

Fosse stata una qualsiasi altra categoria professionale avremmo parlato di lobby, di gruppo di persone "arrivate" che cercano in tutti i modi di cambiare tutto affinché non cambi nulla nel mondo dell'Università. O in alternativa una classe di incompetenti, visto che in 15 anni non sono/siete stati capaci di costruire un progetto serio per l'università.

Ed allora è inutile scagliare le proprie ire sull'incompetenza di quel pagliaccio che ci fa da ministro, collocata forse grazie a tanto bunga bunga :-)

E' altresì inutile utilizzare gli studenti come scudo per perorare le proprie cause...perché la categoria non rinuncia al proprio stipendio per 1 mese in accordo alle criticità dell'università.

Non voglio apparire troppo di sinistra ma qualcuno le deve pur fare, non possiamo certo aspettare Bersani: un operaio lavora 172 ore al mese per molto meno di un docente e non può lamentarsi altrimenti è a casa. E non può permettersi anni sabatici, orari elastici o fondi per computer, viaggi ed altro.

E non nascondiamoci dietro un dito: l'eccellenza esiste, le persone molto preparate ci sono, tu sei fra questi e con te molto altri...ma non lo sono tutti i docenti. E per favore non raccontatemi che tutti i concorsi sono regolari perché non siamo tutti ingenui.

Vogliamo una vera riforma dell'università, ecco 5 idee:

1) legare lo stipendio del docente al proprio rendimento, in termini di pubblicazioni, progetti e fondi ottenuti, risultati dei propri studenti. Chi non raggiunge determinati livelli qualitativi vada a casa.

2) in tutti i progetti l'università deve cofinanziare con il 35% con fondi propri. In questo modo eviteremmo progetti di ricerca finti, assegni (come il mio) inutili, dipartimenti fasulli.

3) eliminare i concorsi. Ciascuna struttura può disporre delle assunzioni come preferisce: se assume un cretino ne rimetterà con i finanziamenti. Un po' come una squadra di calcio: i migliori crescono, i peggiori finiscono negli amatori.

4) assegnare a manager le posizioni direzionali. Essere un buon docente non comporta essere un buon gestore di un dipartimento. Il direttore deve essere un manager orientato al corretto ed etico funzionamento delle strutture dell'università.

5) definire, in accordo con il tessuto economico locale e nazionale, le linee di ricerca della struttura, cui i docenti della struttura devono dedicare una parte della loro attività annuale. Questa cosa già avviene in paesi civili come Finlandia, Norvegia e Svezia (primi tre per percentuale del PIL investita in ricerca). La tua struttura è specializzata in simulazione di motori a scoppio, tutti diamo una mano in quella direzione...e chi non è d'accordo, rispettando i punti 1 e 3, va a casa.

Concordo con quanto scritto dal lettore Luca, che credo, dalla foto, essere una persona saggia e bella.

Un caro saluto
Uno che passava di qua

luca said...

Due precisazioni. Sarà vero che i tuoi colleghi stranieri hanno molti più fondi e le stesse rogne sui malcostumi accademici, ma è anche vero che all'estero se non sei produttivo non hai vita lunga. Qui in Italia ci sono pochi fondi, ma se entri nell'università nessuno ti manda più via. Una seconda precisazione riguarda gli sprechi. Quanto di quel 90% dell'FFO pagato dall'università per gli stipendi è efficace? E' qui che secondo me si possono nascondere molti sprechi: stipendi pagati a persone che non danno ritorni.

Anonymous said...

Mi unisco a quanto detto dal visitatore Luca, bello e saggio, e ne approfitto per lanciare una provocazione a te, Stefano, che sei uno dei docenti più attivi al DIMI fra progetti (infoBC, India) e domande di progetto presentate, collaborazioni con le aziende (MoBe, CRS) e didattica, ma che al tempo stesso vuole essere una provocazione per tutti i tuoi colleghi.

Accetteresti che il tuo stipendio non fosse fissato per legge ma legato a specifici obiettivi e con un contratto di durata prefissata (3-5 anni)?

Naturalmente a patto di essere messo nelle condizioni (fondi, amministrativi competenti, studenti validi) di lavorare bene.

Non so quanti nel mondo accademico accetterebbero queste condizioni, considerate la norma nei paesi più avanzati del mondo.

Buona notte
Uno che passava di qua

S. said...

@Luca: Non è vero che all'estero "se non sei produttivo non hai vita lunga". Diciamo che se non sei produttivo ti scordi le università e i gruppi di ricerca top, ma comunque un posto lo trovi. La risposta all'altra domanda è difficile, ma come al solito io guardo i numeri, e i soliti numeri dicono che qui in Italia con meno risorse facciamo quello che all'estero si fa con più risorse. Quindi la conclusione logica è che o (1) i nullafacenti sono in numero trascurabile (o confrontabile con il numero di nullafacenti all'estero), o (2) gli altri lavorano anche per loro. Se fosse vera la (2) allora avremmo un sacco di Nobel in Italia, e siccome questo non è, resta solo la (1)...

@Paolo: Accetterei qualcosa del genere. Accetterei che, come negli USA, 9 mesi del mio stipendio fossero garantiti e gli altri 3 dipendessero direttamente da progetti di ricerca. Non accetterei contratti di 3-5 anni perché non sono compatibili con i tempi della ricerca, né con la libertà di ricerca e insegnamento. E infatti non sono "la norma" in nessun posto al mondo: in alcuni paesi (non in tutti) c'è la tenure-track iniziale, che però non è un contratto a termine ma un contratto con garanzia di rinnovo a vita dopo una valutazione (e spiegalo tu a gelmini & co.). Ma una volta che uno è professore, lo è a vita. Ma non accetterei in Italia, dove non c'è rispetto da parte dei politici e della società, per ricerca, università, istruzine, cultura, ecc.: non mi fido...

@Luca e Paolo: Ripeto che la ricerca senza sprechi è un ossimoro. La ricerca è lavorare sulla frontiera, dove non si sa come fare le cose. È normale che qualcosa riesca e qualcosa no (e quest'ultimo viene detto "spreco").

@Luca e Paolo: ma proprio non volete scendere (salire?) sul piano dei numeri? Continuate a portare esempi personali, opinioni, a volte addirittura dati sbagliati... E se neanche con voi riesco a fare un discorso "serio", come vuoi che lo faccia con l'uomo della strada che di università, ricerca e scienza non capisce??

S.

luca said...

Tutto il discorso che ho fatto è personale e costruito sulla base di quello che ho visto di persona. Non sono sceso/salito sul piano dei numeri perché, al momento, non è il mio scopo. Non sto attaccando l'università, ne difendendola; sto solo cercando di capire, da chi la difende strenuamente, il perché di certe situazioni.

@Stefano tu dici "la ricerca è lavorare sulla frontiera, dove non si sa come fare le cose. È normale che qualcosa riesca e qualcosa no". Non è questo però lo spreco a cui io mi riferivo. Lo spreco è pagare qualcuno che insegna male e non fa ricerca. Prendiamo un ipotetico professore, che chiamiamo GGP. GGP, ordinario con una certa anzianità di servizio, arriva almeno a 3000 euro/mese, per 14 mesi siamo a 42000 euro/anno netti. Il suo costo aziendale per l'università è di crica 80000 euro. Questo stipendio a fronte di cosa? 2 corsi, per i quali, tra l'altro, usa materiale vecchio di 30 anni. E la ricerca? 0, nulla, niente. Se questo ipotetico personaggio GGP non ci fosse, l'università avrebbe a disposizione 80000 euro in più all'anno, che potrebbero essere divisi e distribuiti come fondi ricerca. In un dipartimento con circa 100 persone, sarebbero 800 gneuri all'anno in più di fondi di ricerca a persona. Buttali via.
Questo è solo un esempio semplice, ma reale, di un piccolo spreco che c'è stato. Non ho numeri, ma sono certo che non è l'unico in Italia, anzi ci sarebbero anche altri nomi nelle sue vicinanze.

Ovviamente questa non è la soluzione definitiva: un piano serio di investimenti a lungo termine per l'università deve essere fatto. Però, finché i soldi non ci sono bisogna arrangiarsi e in momento di crisi i rami morti devono essere tagliati. Fino ad ora non ho sentito discorsi convincenti: tutti si lamentano, tutti protestano, ma nessuno mi ha mostrato una qualche contro-proposta seria per l'università. Io non ragiono sul confronto con l'estero, ma su quello che può essere fatto qui se ci si rimboccasse un po' le maniche. Saremmo comunque ben lontani dal modello che c'è all'estero, ma se non abbiamo la forza/voglia di fare dei piccoli cambiamenti intorno a noi, come pensiamo di riuscirne a fare di grandi?

Infine, la verità è che continuo il thread perché mi piace questo confronto, seminare zizzania è divertente :-) e il visitatore anonimo che passa di qua è sorprendentemente interessante.

Anonymous said...

Confermo quanto ha detto il visitatore Luca, una persona che esprime molto bene nelle sue parole i concetti di tutti noi di sinistra.

Gli sprechi non sono la ricerca di frontiera, e neppure quella di base, ma il modo in cui le persone dedicano il loro tempo (o non lo dedicano a questa attività), indipendentemente che si tratti di fisica nucleare, lambda calcolo, analisi del genoma della vite o altro.

E mi includo per primo.

Capisco benissimo che un filone di ricerca possa non generare risultati eccezionali o a brevissimo termine e, come tutti gli investimenti, è un rischio accettabile.
Posso avviare un progetto di ricerca che non riesce a raggiungere il suo obiettivo perché basato su una teoria, una tecnologia o una metodologie non adatte; non è un crimine, è sperimentazione. E, come dice il saggio, non tutte le ciambelle riescono con il buco.

Non posso tuttavia accettare un progetto finto (stile E-Dvara nel mio ex lab) che serva solo a distribuire soldi pubblici (come TRI-ICT) a chi fa altro...questo è spreco.

Non posso accettare che una persona percepisca n mila euro al mese senza generare alcunché, come nel caso dell'ipotetico docente proposto dal visitatore Luca (supponiamo, per assurdo, sia un docente di Intelligenza Artificiale).

Io continuo il thread perché mi tenete un po' di compagnia...

P.S.: chi è il Paolo che citi sempre nei tuoi post? Il mio nome è Enrico.

Un caro saluto
Uno che passava di qua, alias Enrico Karl Guevara

S. said...

Vi si può rispondere in tanti modi:

1) L'ordinario sarà diventato ordinario per qualche merito, e quindi al limite avrà "rubato" lo stipendio solo per pochi anni (comunque lo stipendio di un ordinario può essere ben più alto di 3000 euri). Quindi lo spreco è limitato. Magari per diventare ordinario avrà fatto ben di più di quello che fanno i suoi colleghi, e quindi lo "spreco", se si guarda tutta la sua carriera, non c'è. Magari l'ordinario sta affrontando un problema difficile di cui vedremo i risultati fra 10 anni. Insomma, di "magari" ce ne sono molti...

2) L'ordinario potrebbe essere licenziato, dice Luca. Io sono d'accordo che chi non fa nulla nulla debba essere licenziato. Il problema è capire se uno non fa nulla. In questo momento io sto cazzeggiando o sto lavorando? Il lavoro di docente universitario è diverso dal lavoro dell'impiegato o dell'operaio, dove la produttività è facile da misurare...

3) Anche a me piacerebbe poter licenziare chi non fa nulla come GPP. Ma è una china rischiosa: se si può licenziare, allora posso licenziare chi fa ricerche scomode politicamente (pensate a Galileo e Darwin solo per fare due nomi...). Gli "sprechi" in quei casi sarebbero ben peggiori che per GGP... Non so, ma forse il rimedio sarebbe peggiore del male... e infatti i licenziamenti sono rarissimi, anzi praticamente inesistenti, anche all'estero (anche se questo non si sa).

4) Siamo tutti d'accordo pare che gli sprechi ci sono quando si fa ricerca. Ma secondo me gli sprechi sono inevitabili anche in fase di reclutamento/promozione. Chi è in grado di dire se un aspirante ricercatore (ad esempio) fra 5 anni sarà un luminare del suo settore? Nessuno. Perché se sarà un luminare sarà migliore di tutti, e nessuno sarà in grado di essere alla sua altezza. Perché fare previsioni è difficile, soprattutto riguardo al futuro. Perché diventare un luminare dipende da un sacco di fattori (impegno, opportunità, finanziamenti, culo, ecc.). Ecc. Ecc. Quindi non dico che si tira ad indovinare, ma sicuramente non è una scienza esatta.

5) Ci sono sprechi relativi ai progetti di... Enrico Karl (?) Guevara. Ma quelli sono progetti europei! Che c'entra l'Italia? Sarà lo stesso in tutta Europa, no?

6) Ma di fondo c'è sempre la questione che non si parla dei numeri. La mia tesi è semplice: in Italia ricerca, cultura, istruzione ricevono meno finanziamenti che all'estero (siamo intorno alla 30esima posizione). La produttività invece è fra i 10 migliori paesi. Perché, se ci sono tutti 'sti sprechi e se i docenti italiani sono tutti fannulloni?? Non è forse più sensato ipotizzare che questi sprechi ci sono anche all'estero perché sono *intrinseci nel sistema ricerca*? E quindi ineliminabili. E quindi non ha senso insistere su quello ma ha più senso parlare di altro, tipo aumentare le risorse?

@Karl Guevara: Scusa se ti avevo chiamato Paolo, ti avevo scambiato per uno molto più matto di te.

@Karl Guevara: Ma tu perché mi chiami Stefano?

@Luca: io l'ho distratto, tu telefona alla neuro... :)

E infine, io continuo il thread perché Il Blog È Mio E Lo Dico Io Quando È La Fine...

P.S. Probabilmente si poteva rispondere anche in modo più sintetico, ma non ho avuto tempo di scrivere meno...

S.

Anonymous said...

Da un commento di Enrico: "E non può permettersi anni sabatici, orari elastici o fondi per computer, viaggi ed altro. "

l'operaio non si porta la catena di montaggio da casa: che le attrezzature siano un investimento dell'azienda è naturale ed ovvio per quasi tutte le aziende, tranne l'università.